Con un importante intervento giurisprudenziale, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7751 del 24 marzo 2025, ha affermato un principio fondamentale in tema di deducibilità delle spese di manutenzione e rimborso delle imposte versate. Secondo i giudici di legittimità, qualora il contribuente abbia erroneamente dedotto integralmente in un unico esercizio una spesa che, per legge, andava suddivisa in più anni, egli ha diritto al rimborso delle imposte pagate in eccesso nei successivi esercizi, anche se l’errore è stato oggetto di adesione al processo verbale di constatazione (PVC).
Il contesto normativo: l’art. 102, comma 6 del TUIR
La disposizione di riferimento è l’art. 102, co. 6 del TUIR, secondo cui le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione non imputate a incremento del costo dei beni devono essere dedotte nel limite del 5% del costo complessivo dei beni materiali ammortizzabili. L’eventuale eccedenza è deducibile per quote costanti nei cinque esercizi successivi.
Il principio di doppia imposizione e la deduzione posticipata
La pronuncia in commento si fonda sul principio, ormai consolidato anche nella prassi dell’Agenzia delle Entrate (circolari 23/E/2010 e 31/E/2012), secondo cui va evitata la doppia imposizione qualora un costo venga recuperato in un esercizio diverso da quello di competenza. La Cassazione ha ribadito che l’adesione al PVC, anche se riferita a un’indebita deduzione anticipata, non preclude il diritto del contribuente a dedurre negli anni successivi la quota parte non riconosciuta.
È stato così riconosciuto che la ripresa a tassazione della somma dedotta anticipatamente legittima, per effetto della stessa normativa fiscale, la deduzione nei successivi esercizi. Si tratta di un effetto “legale” e non discrezionale, non suscettibile di limitazione nemmeno da parte dell’Ufficio accertatore.
Adesione al PVC e istanza di rimborso: compatibilità confermata
La sentenza chiarisce che l’istanza di rimborso non si configura come impugnazione surrettizia dell’accertamento con adesione, bensì rappresenta un’espressione di un diritto previsto dalla legge, derivante proprio dalla ripresa a tassazione delle somme non correttamente dedotte. Tale diritto permane anche nei casi di pagamento tramite ravvedimento operoso, conciliazione giudiziale o altre forme di definizione agevolata.
La circostanza che l’atto di adesione non menzioni espressamente il rimborso non è rilevante, così come non lo è l’art. 2, co. 3 del D.lgs. n. 218/1997, che sancisce la non impugnabilità dell’adesione. L’origine del diritto al rimborso è rinvenibile nell’oggetto del recupero stesso.
Decadenza e termini per la presentazione della domanda di rimborso
Nonostante il quadro normativo sia piuttosto chiaro, capita frequentemente che alcuni funzionari cerchino di eludere la legittima richiesta di rimborso sostenendo che i termini per presentarla siano già spirati al momento del versamento. Tuttavia, in linea con quanto chiarito dalla circolare n. 23/E/2010, il termine decadenziale non è quello previsto dall’art. 38 del DPR 602/73 (48 mesi dal versamento), bensì, il termine biennale decorrente dalla data di perfezionamento dell’accordo.
La pronuncia in esame assume rilievo strategico per i professionisti e per le imprese che si trovano a dover rimediare ad errori nella deduzione dei costi pluriennali. L’affermazione della Cassazione contribuisce a rafforzare la certezza del diritto, tutelando il contribuente contro interpretazioni restrittive da parte dell’Amministrazione finanziaria. È pertanto essenziale, in sede di adesione o ravvedimento, non perdere di vista i riflessi fiscali nei periodi successivi e monitorare attentamente i termini per l’eventuale richiesta di rimborso.

